La depressione è la lettera scarlatta?

 In Destinoterapia, News

Quando parliamo di Depressione come fenomeno enorme e in qualche caso insondabile rispetto all’animo umano, mi ritrovo a chiedermi spesso se ciò che sbagliamo nell’approccio sia semplicemente una questione prospettica.

Per questo vorrei proporre un ribaltamento.

Ma un ribaltamento rispetto a cosa?

Rispetto a una certa normatività che sopprime non solo ogni differenza presente nelle persone, ma fa in modo che ciò che rientra nei canoni dell’ordinario è normale, e ciò che non è controllabile non è appunto normale.

Ma a cosa può servire un rimescolamento delle carte rispetto allo studio e al sostegno di persone affette da Depressione?

Può servire non solo al non appiattimento dell’individuo come groviglio indistinto clinicamente – discorso molto complesso che potremo trattare in un’altra sede – ma soprattutto al tentativo di approdare al di là di un cambiamento culturale per cui la complessità delle persone non sia solo una questione teorica.

Perché ciò che è stantio e dedito alla felicità come fosse uno stato indolore o addirittura solo un ideale, produce un pensiero unico per cui se stai soffrendo c’è automaticamente qualcosa in te che non va.

Ma come ci hanno insegnato, anche attraverso narrazioni fiction, che un detective per comprendere ha bisogno di indizi e di una dose di intuito, quando ci approcciamo al sistema persona, la serie di indizi che chiamiamo sintomi sembrano sempre da ricondurre a qualcosa di completamente estraneo alla persona.

E cosa ne deriva?

Una deresponsabilizzazione di ogni individuo rispetto alla propria consapevolezza di esistere.

Non siamo meccanismi perfetti, abbiamo bisogno di continui aggiustamenti, non perché non funzioniamo nel mondo, ma perché non funzioniamo per noi stessi in un mondo che non ci piace.

L’incapacità di cogliere i messaggi giusti ci avvelena l’esistenza.

Di solito pensiamo la depressione come una sorta di rassegnazione.

Non è così, la depressione è mancanza di rassegnazione.

Vediamo la depressione piuttosto come una resa che può essere attiva: se mi arrendo e mi blocco, non vuol dire che debba fermarmi per sempre.

La nostra essenza non si rassegna a vivere una vita mediocre, vorrebbe conquistare il proprio destino ideale: per questo c’è il blocco della depressione, resistenza a rassegnarci a una vita che non ci piace, rifiutare il mondo come meccanismo infernale.

Noi profondamente sappiamo che la vita può essere bellissima, ma non la sentiamo così e quindi la depressione ci mette in allarme: la vita che viviamo è altro da quello che siamo.

Vogliamo vivere ma rifiutiamo di vivere una vita di ripiego.

Posso arrendermi a un sistema che non va più bene per me: posso prendere quella resa e renderla un punto di vista privilegiato sul mio mondo.

Come un guerriero stanco che ha bisogno di fermarsi e diventare una sentinella: un guerriero che abbandona il campo ha la possibilità di spostarsi e guardare in che modo deve cambiare il suo sguardo e la sua strategia.

Per comprendere meglio come cambiare prospettiva rispetto alla Depressione, possiamo tentare di capovolgere il concetto di ansia come pericolo, che cerca di minare la felicità.

Pensiamo all’ansia invece come un segno di avvertimento per riprendere la strada per il nostro scopo, la nostra chiamata.

Se ci troviamo sul sentiero secondario, spinti da qualcuno o qualcosa, abbiamo iniziato a convincerci che quello era il sentiero giusto anche se sentivamo che non era così. Abbiamo provato a illudere noi stessi, finché non sono arrivati dei disagi.

Inizialmente pensavamo di essere sfortunati senza capire che quel disagio era la risposta al vuoto.

Il malessere è aumentato e non siamo più stati in grado di contenerlo, abbiamo incontrato gli attacchi di panico, le fobie, l’agitazione notturna, abbiamo pensato che era questo il nostro nemico, ma questi segnali sono un ammonimento che vuole significare “Attenzione stai continuando ad andare contro la tua aspirazione. Hai accettato dei compromessi, ma è ancora possibile cambiare strada”.

Il concetto per cui il depresso è in uno stato di apatia, che il depresso è una sorta di zombie che non riesce a costruire nessuno scenario creativo, è un concetto del tutto stantio, poiché non fa che limitare in ogni modo la possibilità di analizzare una certa complessità.

Il depresso potremmo pensarlo invece come un contemplativo: c’è distanza tra la persona depressa e il rumore della vita quotidiana. Ma quando la persona è nel suo spazio protetto, è aperto a ricevere con una frequenza mentale diversa dall’ordinario disagio che causa vari tipi di blocco.

In quel momento il depresso è in dormiveglia, è in uno stato alfa, osserva forse in maniera passiva una serie di avvenimenti reali o immaginati.

Il grande limite è che tutto arriva in maniera frammentaria, si auto convince che può vivere solo in maniera passiva. La verità però è che questi frammenti possono essere accolti, attraversati e vissuti. Lì c’è il cuore di qualcosa che può ricostruire, un universo più empatico e creativo.

In questo stato possiamo eliminare la convinzione che il depresso sia un apatico: egli puoi cercare collegamenti tra le immagini e intuire un nuovo modo di vivere.

Puoi alzarti dal tuo letto e provare e riprendere in mano il tuo destino!